La storia di S.,così chiameremo la donna protagonista di questa testimonianza, è un racconto di forza, cura e umanità:
il suo è stato un percorso intenso, ma a lieto fine, dalla diagnosi oncologica alla nascita di una bimba, grazie all’approccio multidisciplinare e integrato tra
Breast Unit e centro di PMA di Santa Maria Hospital, a Bari.
La diagnosi di tumore e l’intervento chirurgico
Nel dicembre 2019 la paziente, che da tempo si sottoponeva a cicli di
Procreazione Medicalmente Assistita presso altra struttura senza però riuscire a concepire, effettua una visita di controllo con
il dott. Donatello Iamele, senologo presso Santa Maria Hospital. La cisti al seno sinistro che veniva monitorata durante l’ecografia risulta aver cambiato forma. Dopo la biopsia, la diagnosi: la cisti era diventata un tumore maligno e andava asportata.
A gennaio 2020, quando iniziavano i primi segnali dell’emergenza Covid, il
dott. Stefano Rinaldi, chirurgo senologo sempre presso la struttura barese di 色花堂Care & Research, esegue l’intervento chirurgico e rimuove il quadrante interessato dalla neoplasia e anche alcuni linfonodi già compromessi.
“La diagnosi oncologica è sempre un evento particolarmente forte – commenta la
dott.ssa Antonietta Ancona,
responsabile della Breast Unit a Santa Maria Hospital –.
La medicina oggi ha il dovere non solo di curare, ma di custodire la qualità della vita futura. La nostra équipe lavora con un approccio integrato, clinico e umano, che accompagna la donna in ogni fase, inclusa la possibilità di essere madre”.
Breast Unit e centro di PMA: l’approccio multidisciplinare
Nel periodo post-operatorio, la paziente viene affiancata dagli specialisti della Breast Unit di Santa Maria Hospital, con colloqui psicologici e informazioni sui percorsi per preservare la fertilità.
La Breast Unit, infatti, è una struttura medica specializzata e multidisciplinare, che coinvolge diverse figure professionali nell’assistenza alle donne affette da tumore al seno. Il team può includere oncologi, senologi, chirurghi senologici, chirurghi plastici, radioterapisti, anatomo-patologi, medici nucleari, nutrizionisti, fisioterapisti, psiconcologi, oltre a volontari dedicati. Insieme si occupano delle pazienti con problematiche legate al seno, dalla prevenzione al trattamento, fino al follow-up, offrendo anche informazioni e supporto psicologico.
Grazie all’
Unità di Procreazione Medicalmente Assistita del Santa Maria Hospital, diretta dal
dott. Pasquale Totaro, scopre la possibilità di congelare gli ovuli prima di intraprendere la radioterapia, per avere più possibilità di concepimento a guarigione avvenuta.
Il percorso di PMA e il “social freezing”
Conclusa la radioterapia, effettuata in piena pandemia a Barletta, S. si rivolge nuovamente al centro PMA per utilizzare gli ovuli congelati in precedenza. Il primo tentativo nel novembre 2023 non va a buon fine. A febbraio 2024, al secondo tentativo, arriva la notizia tanto attesa:
S. è incinta.
“Quando un ciclo non va a buon fine la prima cosa da fare è non scoraggiarsi e avere fiducia nelle tecniche di fecondazione assistita che oggi sono sempre più sicure e affidabili. Tuttavia le percentuali di successo non sono molto elevate, quindi se ci sono le condizioni e la coppia è in buona salute, questa viene invitata a riprovare perché più tentativi si fanno e maggiori sono le possibilità di riuscita – spiega il
dott. Totaro –.
Per quanto riguarda il tema del congelamento degli ovuli, suggerisco sempre di non aspettare oltre i 34 anni per provvedere a congelare gli ovociti. Si chiama “social freezing” ed è particolarmente consigliato quando la donna è in carriera e non ha al momento un partner “giusto”, o presenta qualche problematica che la induce a posticipare il progetto di genitorialità. Possiamo considerarlo un “tesoretto di fertilità” che viene messo da parte e si può utilizzare anche dopo 5-6 anni nel momento in cui la donna desidererà la gravidanza. A 40 anni avrà così degli ovociti più “giovani” da poter impiegare per il concepimento e quindi maggior possibilità di successo e soprattutto di avere un bambino sano”.
L’approccio integrato e umano alla cura può fare la differenza
“Il dott. Totaro è stato un punto di riferimento. Con calma e pacatezza mi ha aiutata a dosare energia e fiducia. Se oggi ho una bambina è anche grazie a lui – racconta S. –.
Spero che la mia storia possa incoraggiare le donne che ricevono una diagnosi come la mia e sognano di diventare madri. Non bisogna mai perdere la speranza. Anche quando tocchi il fondo, puoi risalire. E anche qualora non si riuscisse a realizzare il desiderio di maternità, non si diventa donne incomplete. Mi sono sentita libera di esprimere le mie emozioni, i miei timori e le mie sensazioni grazie alla grande umanità ed empatia dei medici e del personale di Santa Maria Hospital”.
Oggi, S. guarda al futuro con speranza. Allatta al seno la sua bambina, ha ritrovato un equilibrio e sogna di darle presto un fratellino o una sorellina in vista del compimento dei suoi 40 anni.
“Ho ancora un ovulo congelato, il percorso di PMA questa volta lo affronterei con più serenità, sempre con accanto la mia famiglia, presente in ogni momento. La forza me l’hanno data loro e sono sicura di poter affrontare anche questa nuova sfida con loro accanto”.
“L’approccio integrato e umano alla cura può fare la differenza, nella malattia ma soprattutto nella vita – conclude la
dott.ssa Ancona –.
Santa Maria Hospital rinnova il proprio impegno nella promozione della salute femminile, nella diagnosi precoce, nella tutela della fertilità e nell’ascolto profondo delle storie di chi cura e di chi viene curato”.