L’anca è una delle più importanti articolazioni che sorreggono il nostro corpo, ha il compito di congiungere il tronco, nello specifico la regione pelvica, alla coscia e quindi agli arti inferiori. “L’articolazione dell’anca – spiega il
dott. Ivo Tartaglia specialista in
Ortopedia e Traumatologia al
Salus Hospital di
Reggio Emilia – nota come articolazione coxo-femorale, è costituita dalla cosiddetta “cavità acetabolare”, ovvero l’incavo laterale dell'osso iliaco del bacino, e dalla testa del femore, che va a inserirsi in tale cavità. La cartilagine svolge la funzione di rendere levigate e scorrevoli le superfici ossee che partecipano alle articolazioni, minimizzando gli attriti durante i movimenti”.
“Proprio a causa della sua grande mobilità e dato che è un'articolazione che sopporta carichi notevoli, la coxo-femorale è sottoposta a continue sollecitazioni e può andare incontro ad un graduale processo di usura, riscontrabile soprattutto in età più avanzata. Ciò si può verificare come conseguenza di traumi acuti o della presenza di difetti congeniti. In altri casi, soprattutto dopo i 50-60 anni, a determinare dolore all’anca possono essere problemi legati a patologie degenerative quali
coxartrosi – o
artrosi dell’anca – osteoartrosi e
artrite reumatoide. Queste malattie si sviluppano in modo graduale, consumando progressivamente la cartilagine che riveste le ossa dell’articolazione. I segnali caratteristici sono dolore, rigidità e gonfiore”.
“Come tutte le forme di
artrosi, anche quella dell'anca è una malattia ad evoluzione cronica, che consuma a poco a poco le cartilagini articolari. In particolare, nella
coxartrosi viene colpito lo strato di cartilagine che riveste la testa del femore e la cavità dell'anca in cui si articola, l’acetabolo. Per far fronte a queste patologie e ridurne i sintomi, le opzioni terapeutiche sono quelle di utilizzare farmaci antinfiammatori, evitare sforzi fisici e ridurre il peso corporeo. Tuttavia, i farmaci non sono in grado di limitare né tantomeno invertire il danno articolare”.
Nelle fasi più avanzate dell’artrosi il dolore non è più controllabile e i normali movimenti sono ormai compromessi, rendendo difficili anche semplici attività quotidiane come camminare, allacciarsi le scarpe o salire e scendere le scale. La
chirurgia protesica dell’anca è in grado di curare efficacemente la patologia degenerativa dell’articolazioni.
“Quando dobbiamo operare sull’anca per l’innesto di una protesi artificiale – continua il
dott. Tartaglia – la chirurgia ortopedica oggi offre un
approccio mininvasivo per via anteriore. Nelle protesi d’anca in genere si predilige approcciare il paziente attraverso un’incisione postero-laterale, cioè con il paziente posizionato sul fianco e il taglio chirurgico praticato nella parte superiore della coscia. Le protesi vengono tutte adattate al paziente: un vero e proprio impianto su misura la cui taglia si calcola prima dell’intervento in base all’esigenza. Alla base di questo lavoro sartoriale vi sono precise valutazioni cliniche in rapporto all’età biologica del malato e all’anatomia del suo femore”.
“Le tecniche chirurgiche mininvasive per la sostituzione protesica dell’anca sono mirate alla diminuzione del dolore post-operatorio rispetto alle tecniche tradizionali, evitando la sezione muscolare. In questa maniera otteniamo anche una velocizzazione della riabilitazione e una conseguente riduzione del ricovero ospedaliero. ? importante, in ogni caso, avere presente che la nuova articolazione non è protetta fino a quando la muscolatura dell’arto inferiore non avrà riacquisito un adeguato trofismo muscolare. Per questo, la riabilitazione fisioterapica è indispensabile per facilitare una piena guarigione, rinforzare la muscolatura e i tessuti di supporto e recuperare una corretta mobilità”.
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